Traiano regnò dal 98-117 d.C., e con lui l’impero romano raggiunse la sua massima estensione. Fu un imperatore saggio, moderato e molto amato, tanto da essere chiamato Optimus Princeps. Agli imperatori che vennero dopo di lui si augurava che fossero «più fortunati di Augusto e migliori di Traiano».
L'impero Romano al tempo dell'imperatore Traiano
Publio Elio Adriano regnò dal 117 al 138 d.C., ed è considerato uno dei più grandi imperatori dell’antichità, ricordato per la sua cultura, l’amore per le arti e gli straordinari edifici che ci ha lasciato: il Pantheon, Villa Adriana e il suo Mausoleo (Castel Sant’Angelo). Ma le fonti antiche, tutt’altro che imparziali, riferiscono che negli ultimi anni di regno era odiato per la sua crudeltà, al punto che il suo successore Antonino Pio dovette più volte insistere presso il Senato per ottenere la sua divinizzazione.
Fondamentale nella vita di Adriano fu il rapporto con Traiano, al quale fu affidato nell’85 d.C. dopo aver perso il padre; in seguito sposò Vibia Sabina, sua nipote, rafforzando i legami familiari. L’imperatrice Plotina si adoperò per favorire la sua successione al marito Traiano, che lo adottò in punto di morte.
Divenuto imperatore, Adriano subito chiese al Senato di tributare a Traiano gli onori che gli spettavano, a cominciare dal trionfo sui Parti, e di decretarne la divinizzazione; altrettanto fece con Plotina.
Il regno di Adriano segnò un periodo di assestamento e consolidamento dell’impero romano. Come già era avvenuto all’epoca di Augusto, bisognava porre fine al perenne stato di guerra, rafforzare i confini dell’impero e ristabilire la pace, condizione indispensabile per lo sviluppo economico e demografico e la prosperità dell’impero.
L'impero Romano al tempo dell'Imperatore Adriano
Adriano seguì la stessa politica di Augusto, proponendosi come suo ideale continuatore nel rinnovare i fasti di Roma. Decise di porre fine alle guerre di conquista e rafforzare i confini dell’impero, dove si erano manifestate le prime avvisaglie dei problemi che sarebbero diventati endemici dopo Marco Aurelio: le invasioni barbariche.
Elemento chiave delle conquiste romane erano sempre state le vie consolari, nate per favorire la mobilità dell’esercito, la diffusione dei commerci e lo sfruttamento dei territori di nuova conquista. I legionari erano specializzati nel tracciare nuove strade, il primo nucleo di un’immensa rete che grazie all’invenzione tutta romana dell’arco e dell’opera cementizia portò alla costruzione di ponti (e acquedotti) sempre più grandi e monumentali.
Traiano fece costruire in Spagna lo spettacolare ponte dell’Alcantara per superare il fiume Tago e sfruttare le ricchissime miniere della regione: grazie a quel ponte l’oro e l’argento giungevano fino a Roma per sostenere i costi sempre crescenti dell’impero.
Traiano affidò il progetto del ponte all’architetto Caius Iulius Lacer, che vi eresse un tempietto con un’iscrizione in cui proclamava che «finché durerà il mio ponte durerà il mondo». Finora ha avuto ragione, perché sia il tempietto che il ponte (che ha un arco alto 70 metri) esistono ancora e addirittura vi passano i camion moderni, a riprova del fatto che le opere pubbliche romane erano progettate per durare (quasi) in eterno.
Foto di peurmelestrabunilorLe durissime e sanguinose guerre in Dacia avevano fruttato un enorme bottino col quale Traiano costruì il suo Foro con la Basilica Ulpia e la Colonna Traiana, affidandoli ad Apollodoro di Damasco – l’archistar dell’epoca – al quale si deve anche il progetto del Pantheon. Traiano gli affidò la costruzione di un ponte ancora più grandioso sul Danubio, per meglio sfruttare le ricchezze della Dacia; ma ottenne un effetto collaterale imprevisto, perché nel giro di pochi anni il ponte divenne la via maestra per le incursioni barbariche.
Già Traiano aveva rinunciato ai nuovi territori oltre l’Eufrate; lo stesso pensò di fare Adriano con la Dacia ma non lo fece perché fu sconsigliato e sembra che abbia deciso di di demolire il ponte sul Danubio per proteggere i confini dell’impero.
Nello stesso periodo costruì il suo Vallo in Britannia per segnare il confine con le bellicose popolazioni del nord dell’isola.
Per legittimare il proprio potere basato sull’adozione, Adriano sottolineò la continuità del potere dinastico che gli veniva da Traiano divinizzato, rendendogli grandi onori, estesi anche alle imperatrici Plotina e Sabina. Non avendo figli scelse come suo successore Antonino Pio, e gli impose l’adozione di Marco Aurelio e Lucio Vero, affinché regnassero dopo di lui.
La successione per via dinastica portò però allo sciagurato regno di Commodo, figlio degenere di Marco Aurelio evidenziando il problema ricorrente dell’impero romano: scegliere l’uomo giusto, indipendentemente dai legami di sangue, e avere una successione al potere pacifica, stabile e duratura.
A partire dalla fine del II sec. d.C. vi furono infinite e sanguinose contese fra pretendenti al trono più o meno legittimi, acclamati dalle proprie legioni, che portarono ad uno stato di guerra civile continua assai peggiore di quelle che avevano preceduto il regno di Augusto.
Diocleziano tentò invano di risolvere la questione con il sistema della Tetrarchia, ma senza risultato: dopo di lui vi fu l’inizio della fine, ma questa è un’altra storia.